Problem solving per aziende in Cina

 

Simona Russo, specializzata in mediazione e comunicazione interculturale con focus sulla Cina, svolge un’attivita’ che e’ abbastanza insolita per la realta’ italiana, ma gia’ molto diffusa presso aziende di altri paesi alle prese con la delocalizzazione.

“Alle aziende italiane in Cina offro un ruolo di mediazione e formazione. Aprire una sede o un impianto in Cina (e spostare una produzione) rappresenta un investimento importante  da ottimizzare al massimo nel risultato. Spesso pero’ capitano situazioni negative che non dipendono magari direttamente dal processo lavorativo ma da modelli gestionali e comunicativi inadatti, i cui effetti si ripercuotono poi nella capacita’ di risolvere i problemi, di decision making, nella gestione del tempo, delle responsabilità, delle relazioni interne e molto altro. In genere si tende purtroppo a trascurare questi aspetti o a credere di esserne immuni quando in realta’ sono all’ordine del giorno, più o meno evidenti, con ripercussioni negative sull’intera crescita di un’azienda, minando seriamente il successo dello stesso investimento.2013-01-29 14.17.41 copy

Nella pratica come si svolge il tuo intervento?

Dipende dalle dimensioni dell’azienda e dal tipo di attività (cioè se fanno produzione, o se hanno un ufficio e seguono fornitori e clienti). Il primo step è capire le reali necessità dell’azienda. Segue poi la fase di formazione, in sessioni molto brevi, che è rivolta sia al personale locale che a quello espatriato. Durante queste sessioni esaminiamo alcune nozioni di base per capire le aspettative e gli obiettivi, sia per i dipendenti italiani che per quelli cinesi, oltre che i modi in cui vogliono raggiungere questi obiettivi e come queste due differenti strade si possono conciliare.

Che cosa noti in questo processo?

Spesso entrambe le parti, pur condividendo gli stessi obiettivi vedono modi diversi per realizzarli. Stabilire che l’obiettivo è lo stesso vuol dire essere già a un buon punto. Il problema e’ poi che ognuno e’ convinto di avere la soluzione migliore e piu’ efficace, e difficilmente si staccano da questo punto di vista. Ma non e’ tanto questo l’obiettivo delle sessioni, che e’ invece di prendere consapevolezza di quello che succede dall’altra parte, di come ragionano, come pensano. E’ un processo che facciamo sia con il personale italiano che con il personale cinese naturalmente.

I training sono separati per gli italiani e per i cinesi?

Per forza, per una questione di lingua e di diversi approcci alle tematiche. Attenzione che non è la classica lezione da aula in cui si danno delle nozioni teoriche. Qui affrontiamo proprio situazioni pratiche che si verificano nell’azienda e che vengono fuori durante le sessioni, oppure gia’ nel primissimo momento in cui incontro l’azienda tramite un breve questionario, se non addirittura da situazioni a cui mi capita di assistere di persona. Le affrontiamo, le analizziamo, le spieghiamo, e spesso scopriamo che il problema non sta dove si pensava ma altrove, e che l’incidente se cosi’ si puo’ chiamare si è verificato molto prima. In alcune aziende è sufficiente fermarsi alle sessioni di training. Si segue un programma stabilito insieme anche per frequenza e durata (si va dalle 4 alle 16-20 ore) e gia’ questo puo’ essere sufficiente per far raggiungere la giusta consapevolezza, perché alla fine il vero lavoro e’ creare questo atteggiamento. In altri casi invece, queste sessioni formative le portiamo anche sul campo, quindi sul quotidiano per qualche giornata aiutando proprio a mettere in pratica tutto quanto abbiamo detto e le conclusioni a cui si è arrivati durante le sessioni di training. Importante e’ che durante questo processo non si intacca lo svolgimento del lavoro ne’ la produzione, tutto continua ovviamente, non si chiude l’azienda!

Lo fai in tutta la Cina o solo in alcune città?

Diciamo che spazia su tutto il territorio ovunque ci siano aziende che lo richiedano.

C’è distinzione tra problematiche in diverse zone del Paese?

Queste di cui abbiamo parlato sono situazioni che si riscontrano in quasi la totalita’ delle aziende straniere in Cina, naturalmente su livelli diversi. A prescindere dalle città o le zone. Ci sono differenze per quanto riguarda i dipendenti locali e per quanto riguarda gli espatriati invece. Per quanto riguarda il personale locale, cambia la loro cultura e il loro modo di pensare. La Cina è grande, se pensiamo un attimo alle differenze culturali tra Nord e Sud Italia, qui sono ancora piu’ marcate. Per gli espatriati, quello che fa la differenza e’ soprattutto dove vivono e lavorano in Cina. Per chi si trova nelle grandi città, in quelle più internazionalizzate come per esempio Shanghai è forse più facile una volta finita la giornata lasciarsi il lavoro alle spalle: ci sono svaghi, comodità, magari se hanno famiglia al seguito possono trovare anche il conforto di un ambiente familiare. Ma per chi si trova in citta’, anche grandi ma meno “internazionali”, la realta’ e’ ben diversa. Se conosci bene il cinese e ti sai integrare, riesci a ricrearti anche lì uno spazio meno alienante e puoi trovare interesse negli svaghi dei locali (che sono diversi dai nostri). Diversamente, gli svaghi che normalmente cerca un occidentale per rilassarsi e per lasciarsi i problemi del lavoro alle spalle non ci sono: pub, locali, ristoranti italiani, cinema con film almeno in inglese, e cosi’ via. A lungo andare questa situazione rende ulteriormente difficile vivere e lavorare in Cina. Difficilmente la famiglia segue l’espatriato se la destinazione non è una delle città “maggiori”, fosse anche solo per la mancanza di scuole internazionali per i figli.

Come viene percepito dalle aziende italiane questo tipo di intervento?

Tra le aziende italiane è riconosciuta la difficoltà a lavorare in Cina, purtroppo c’è spesso diffidenza sulla risoluzione dei problemi tramite questo tipo di supporto. La fase più “difficile” per me nel rapporto con un’azienda è proprio riuscire a cambiare questo punto di vista e far capire l’importanza che invece un’azione di questo genere ha sull’attività nel suo complesso. Trovo che sia tutto più immediato invece quando lavoro con aziende straniere, per lo più americane o del nord-Europa dove c’è la consapevolezza dell’impatto che le differenze culturali possono avere sulla vita di un’azienda, e dove è più diffusa una mentalità della convivenza, quindi del dare spazio a nuove soluzioni per vivere (o lavorare) insieme in modo efficace.

Come hai iniziato?

Diciamo che mi ci sono ritrovata. Lavorando all’inizio prima per un’azienda in Cina, poi per una in Italia mediavo spesso su problematiche che si riteneva fossero dovute a incompetenza, lentezza o mancanza di professionalità quando invece le cause erano dovute a diversita’ di vedute nella gestione di determinate situazioni. E’ impressionante vedere quanto un’attivita’ risenta di queste situazioni e i meccanismi che si innescano in questo contesto. Quando la situazione si sblocca tutti tirano un sospiro di sollievo ma nel frattempo si e’ perso tempo e risorse per tentare di risolvere un problema che in realtà richiedeva un altro tipo di approcio, anche piu’ rapido ed efficace. Ma se non lo sai, perché non hai gli strumenti per rendertene conto, è difficile cambiare queste situazioni. Quindi ad un certo punto ho deciso di dedicarmi proprio solo a questo.

Di solito quale delle due parti e’ piu’ consapevole del problema?

La cosa interessante è che non è soltanto la parte italiana o comunque straniera ad avere la sensazione che non si lavori bene e che ci siano incomprensioni, insomma a soffrire di questa situazione. E’ importante non dimenticare mai che anche i cinesi hanno le stesse sensazioni sugli occidentali che vengono a lavorare in Cina! Tant’è vero che quando facciamo le sessioni di training gli expat spesso mi chiedono “Ma poi queste cose le fai anche con i cinesi vero?” E i cinesi mi dicono “Ma poi queste cose le fai anche con loro, vero? È importante che capiscano che la cosa non e’ mai a senso unico, altrimenti non ha senso!”

Che feedback hai dalle aziende una volta avviato/finito un progetto?

Molto positivo. In primo luogo perché i risultati sono immediati. Alcune situazioni cambiano proprio da un giorno all’altro. Su altre problematiche ci vuole più tempo, ma con la prima fetta di situazioni risolte subito si crea poi lo spirito per non demordere e lavorare anche sul resto. Alla fine sono soddisfatti i miei clienti per i risultati che ottengono, e sono soddisfatta anch’io, perché vuol dire che l’attività che faccio è utile e può fare la differenza.

 

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